Nativi digitali: oltre il recinto della Generazione Google

 

Facebook per molti utenti è l’unico sito visitato, tanto da essere per molti sinonimo e sostituto integrale di Internet. Qui le regole d’uso vengono decise unilateralmente, senza dibattito […] È un ambiente chiuso, controllato secondo criteri bizzarri e soprattutto insindacabili. Il parco pubblico è stato sostituito dal centro commerciale. E ad un miliardo e cento milioni di utenti questo va benissimo.

I dati indicano che stiamo rinunciando progressivamente agli elementi tecnici fondamentali che hanno permesso lo sviluppo della Rete, sostituendoli con un ecosistema hardware e software progressivamente sempre più chiuso. La mia preoccupazione è che tutto questo non crea nativi digitali. Crea polli di batteria

Cosi` si chiude l’articolo di Paolo Attivissimo sui (falsi) nativi digitali, su quelli che per molti genitori sono piccoli Mozart della tecnologia capaci di maneggiare con naturalezza dispositivi piatti e lucidi e di navigare senza impacci in un mare di icone quadrate.

Ma fra queste icone non si cela la conoscenza.

Gli smartphone e tutti i dispositivi che molti di noi definiscono perfino intimi __nonostante rendono la connessione al web trasparente, impalpabile, sono scatole chiuse sia fisicamente che legalmente, e ci privano quindi della possibilita` (e del diritto) di smontare, aprire, guardare e diventare hacker (nel senso originario del termine).

I dispositivi mobili non stanno costruendo la strada verso la conoscenza e la liberta` democratica, stanno fissando attorno a noi un alto recinto protetto dal falso mito di un Web 2.0 democratico.

Chi trova un amico… trova un business
 

Nel 1970 gli sviluppatori del sistema Xerox Star introdussero nei loro sistema il Desktop.

La “scrivania” non e` altro che una metafora che venne usata da Alan Kay e dal centro di ricerca Xerox per poter permettere agli utenti di orientarsi in un ambiente del tutto estraneo utilizzando metafore che si ricollegano ad oggetti del tutto conosciuti.

40 anni dopo il desktop e` praticamente scomparso, non serve perche` ormai i nuovi dispositivi portatili sono fool-proof (almeno per i “nativi digitali”) ed invece si e` affermata una nuova metafora vincente: l’amicizia.

L’amicizia e` la metafora che alimenta il business delle piattaforme nel mondo del web sociale, e le stesse piattaforme agiscono da filtro per la nostra esperienza nel web e nel mondo reale. Cosi` come i fotografi con la passione e l’esperienza sviluppano l’occhio da inquadratura, i “nativi digitali” acquisiscono l’occhio da social, quella skill che permette loro di riconoscere l’occasione giusta per misurarsi con una condivisione in piu`.

Ma la metafora dell’amicizia sta anche alimentando attorno a noi una “filter bubble” che attraverso algoritmi sceglie cosa nasconderci. La ricerca di Google, in generale tutto il web della “smart personalization”, come definito da Eli Pariser nel suo libro “What the Internet is hiding from you“, non fa altro che restituirci una ricerca distorta e chiusa tra noi e i nostri amici, dei risultati che “sono percepiti” come migliori.

Inoltre cosa succede quando, cosi` come lo studente reputato dal professore poco intelligente finisce per agire come tale, il nostro motore di ricerca e il nostro social network decidono chi siamo?

Che la rete non ci catturi
dsully: please describe web 2.0 to me in 2 sentences or less.
jwb: you make all the content. they keep all the revenue – bash.org

Se il Web di Tim Berners Lee era il Web della possibilita`, il Web 2.0 e` il Web della consapevolezza.

Dobbiamo imparare a tracciare un confine fra noi e le piattaforme, dobbiamo capire quanto sono alti i muri che “gli ecosistemi digitali”, termine quanto mai improprio, costruiscono attorno a noi, dobbiamo sapere quali dati sono nostri, quali dati possiamo barattare.

Per evitare che il servizio ci trasformi in servitori.

Per evitare che la piattaforma si trasformi in una gabbia dorata.

E soprattutto perche` per pensare digitale e` comunque necessario prima pensare.

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Nei prossimi anni si creera` un divario sempre piu` ampio fra chi ha scelto come modellare la propria identita` digitale e chi, invece, non ha lo sguardo piu` lungo del suo schermo e si lascia guidare da un meccanicismo acritico quanto mai radicato nella moderna societa` dei consumi.

La strada per la riduzione del divario digitale e la democratizzazione del web passa per le scuole e l’istruzione, forse uno dei pochi settori dove le istituzioni pubbliche hanno piu` potere della macchina del denaro della Silicon Valley.

Francesco Mecca

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